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martedì 29 marzo 2011

Memoria e riconciliazione

Un documento importante per la storia della Chiesa è Memoria e riconciliazione: la chiesa e le colpe del passato della commissione teologica internazionale.


Di seguito riporto l’intervista pubblicata su Avvenire l’8 marzo del 2000 a mons. Bruno Forte, teologo affermato, il quale ha partecipato alla stesura del documento

«Bisogna dire che il gesto di Giovanni Paolo II, che invita la Chiesa a chiedere perdono per le colpe del passato, è di assoluta novità. La responsabilità è sempre un fatto personale, e il giudizio sul cuore dei singoli esseri umani spetta unicamente a Dio. Ma esiste anche una sorta di “responsabilità oggettiva”: le ferite si trasmettono lungo la storia, vedi il caso evidentissimo della disunione dei cristiani.

Per qualcuno, una Chiesa che chiede perdono rivela insicurezza e debolezza. Il perdono è davvero la virtù dei deboli e degli insicuri?

No, significa semplicemente obbedire alla verità- Far piacere a Dio. Se l’obbedienza comporta riconoscere delle colpe, l’atto va compiuto al di là di ogni calcolo; solo per amore di verità. La verità è valore assoluto. Atti simili si rivelano contagiosi? Stimolano altri a fare altrettanto? Penso ad alcuni episodi recenti, ad esempio al presidente tedesco davanti al Parlamento israeliano… Sarebbe davvero bello che si determinasse un irradiarsi di gesti esemplari, liberi dal calcolo e dallè’interesse.


Un’altra obiezione: ammettere gli sbagli può incrinare l’autorevolezza della Chiesa?

Si, potrebbe, ma per chi equivocasse la natura e il compito della Chiesa. Sono le ideologie a crollare, se appena costrette ad ammettere i propri errori. Perché si presentano come verità assolute, e l’ammissione di colpa porta alla dissoluzione, vedi cos’è accaduto con la perestrojka gorbacioviana. Chi muove simili obiezioni alla Chiesa, compie una lettura ideologica del cristianesimo. Che non è un’ideologia. La Chiesa è la comunità dei credenti, e crede fino in fondo nella forza della verità che rende liberi. La verità: non siamo noi a possedere lei, ma lei a possedere noi. È una verità non violenta. E, pur riconoscendo la colpa, la Chiesa rimane il luogo in cui questa verità è rivelata.

E per i fedeli comuni, per le comunità, quale significato ha questo atto?

È un grande invito all’esame di coscienza relativamente al cammino percorso, a quello che ci attente, alla meta verso cui andiamo. Se riconoscessimo le nostre colpe, ma non facessimo nulla per rendere più evangelica la nostra comunità, avremmo fatto della pura retorica. Un falso. Le comunità sono invitate a una profonda revisione di vita, da compiere con serietà e pudore. Su ciò che tutti noi abbiamo fatto di sbagliato. E, forse soprattutto, su ciò che non abbiamo fatto. Le omissioni, specialmente in rapporto alle sofferenze dei più deboli: i silenzi, le deleghe, la mancata assunzione di responsabilità.


A proposito del recente fenomeno della “negazione di Dio” nel testo si legge: “l a questione inquietante da porre è in che misura i credenti siano essi stessi responsabili di queste forme di ateismo, teorico e pratico”.

Mi rendo conto che è una domanda che fa soffrire, ma dalla quale non possiamo sottrarci.»


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