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venerdì 8 aprile 2011

Comunità ebraica fiorentina (la storia)

Le origini

Le origini della comunità ebraica di Firenze sono relativamente recenti nel tempo; occorre, infatti, attendere il Quattrocento perché si possano avere notizie di un insediamento stabile di ebrei in città, anche se numerose sono le tracce di una loro presenza fin dall’epoca romana e per tutto il Medioevo. Fu Cosimo il Vecchio de’ Medici a chiamare gli ebrei a Firenze nel 1437 affinché fondassero dei banchi di pegno. A partire dal Medioevo, lo sviluppo economico, conseguente all’inurbamento e alla stabilizzazione delle entità comunali, impose di avere una ampia disponibilità di capitale per i traffici commerciali. Tuttavia, essendo proibito ai cristiani di percepire qualunque interesse sul prestito di denaro, venne concesso a famiglie ebraiche di risiedere nei vari luoghi purché esercitassero attività feneratizia, tollerata dalla Chiesa.

Così inizia la vita della comunità ebraica fiorentina la cui struttura sociale sarà ampiamente documentata nei capitoli delle condotte che fissano le regole del prestito, diritti e doveri degli ebrei prestatori, delle loro famiglie, dei loro soci e dipendenti. Per oltre un secolo essi poterono usufruire della più ampia libertà nella scelta della loro dimora, quasi sempre nell’edificio dove, al piano terra, svolgevano la loro attività al banco del prestito. Firenze, culla dell’Umanesimo e del Rinascimento, fu anche un centro importante di studi ebraici, che influirono su personalità quali Marsilio Ficino, importante esponente del Neoplatonismo fiorentino, Angelo Poliziano e Giovanni Pico della Mirandola.
La prima sinagoga, andata distrutta quando i quartieri al di là e al di qua del Ponte Vecchio furono fatti saltare dalle mine tedesche, era al piano terreno del palazzo all’angolo tra il Chiasso de’ Giudei e borgo S. Iacopo. Gli ebrei, il cui numero non raggiungeva le cento persone, godettero di una relativa tranquillità e benessere fino a quando fu al potere la famiglia Medici. Tuttavia, con la creazione della Repubblica e soprattutto a causa delle infuocate prediche di Girolamo Savonarola, il frate domenicano di origine ferrarese, il quale si scagliava contro tutte le mollezze della società contemporanea e contro chiunque si allontanasse dall’ortodossia cattolica, essi vissero per lunghi anni sotto il perenne pericolo di espulsioni, sempre revocate dopo cospicui esborsi di denaro.

Il Cinquecento

Il Cinquecento: la controriforma e l’istituzione del ghetto

Quando Cosimo I, discendente di un ramo cadetto della famiglia Medici, salò al potere nel 1537, portò profonde trasformazioni tese ad adeguare la città al suo nuovo status di capitale del suo dominio. In particolare, il matrimonio con Eleonora da Toledo, figlia del vicerè di Napoli, vide giungere a Firenze una nutrita corte di origine spagnola, all’interno della quale spiccava la personalità di Bienvenida Abravanel, donna di grande cultura e sua governante, che ebbe una positiva influenza sull’atteggiamento della coppia ducale verso gli ebrei.
Le cose cambiarono radicalmente quando Cosimo, per avere il titolo di Granduca, la cui concessione era osteggiata dalle maggiori potenze europee poiché lo avrebbe messo a pari loro, cedette alle pressioni di papa Pio V il quale promise di appoggiare la sua richiesta in cambio della fondazione anche a Firenze di un ghetto. Già a Roma nel 1555 con la bolla “Cum nimis absurdum” era stato creato, in linea con i dettami della Controriforma, un quartiere-prigione in cui gli ebrei erano chiusi dal tramonto all’alba e da cui potevano uscire di giorno solo indossando un segno distinitivo: una rotelle gialla per gli uomini, una manica o un velo dello stesso colore per le donne.
In questo spirito, con decreto del 3 ottobre 1570, Cosimo I impose alla comunità il divieto di iscriversi ad un’Arte, il che estrometteva gli ebrei da ogni possibilità di esercitare professioni e libero commercio, e l’obbligo di trasferire la residenza in un quartiere a loro riservato. Il quartiere prescelto era in pieno centro, non lontano da piazza Duomo, abitato in epoca comunale da famiglie nobili (i Medici, i Brunelleschi, i Tosinghi, i Pecori, i Della Tosa), ma oramai degradato. Il Granduca ne acquistò la proprietà e i lavori di ristrutturazione, affidati a Bernardo Buontalenti, terminano nel 1571.
Il primo ghetto, o Ghetto Vecchio, era compreso tra le attuali piazza della Repubblica (allora il Mercato Vecchio), via Roma, via Tosinghi e via Brunelleschi. Aveva due uscite, chiuse da cancelli, una sulla piazza del Mercato e l’altra su via dei Succhiellinai (via Roma). Sulla porta principale era scolpito lo stemma mediceo con una scritta che recitava: ‘Cosimo dei Medici, Granduca di Toscana, e suo Figlio il Serenissimo Principe Francesco, animato verso tutti da grandissima pietà, vollero che gli ebrei fossero racchiusi in questo luogo, separati dai cristiani ma non espulsi, affinché potessero, per mezzo dell’esempio dei buoni, sottoporre le durissime cervici al leggerissimo giogo di Cristo, Anno 1571″.
Si aprò anche a Firenze un lungo periodo di privazioni, divieti e imposizioni. Tuttavia i Medici si erano resi conto dell’importanza degli ebrei nel tener vivo il commercio del Granducato con i paesi che si affacciavano sul Mar Mediterraneo e per questo avevano permesso loro di abitare liberamente a Livorno, che erano divenuto il nuovo porto della Toscana dopo che Pisa si era interrato a causa dei detriti trasportati dal fiume Arno. Gli ebrei di origine italiana furono costretti, quindi, ad abitare nel recinto del quartiere, ma fu permesso a quelli di origine levantina (quindi livornese) di abitare fuori godendo, inoltre, di innumerevoli privilegi. Gli abitanti nel 1571 erano circa 500, numero che restò stabile per tutto il secolo successivo. Entro il Ghetto vi erano due sinagoghe, quella Italiana e quella Spagnola o Levantina, ambedue affacciate sulla Piazza della Fonte, l’unico spazio aperto e da cui le case potevano prendere aria e luce. Il resto del Ghetto era formato da un intrico di stradine anguste e da vicoli molti dei quali coperti da volte per permettere la sopraelevazione dei caseggiati e aumentare lo spazio abitativo.
Vi erano anche tutti i servizi indispensabili al buon andamento di una comunità ebraica: il macello, il fono del pane e delle azzime, il bagno, le scuole, le sedi delle confraternite. Per tutti vigeva lo jus gazzagà, il diritto di inquilinato perenne: l’Isola del Ghetto, come veniva chiamato il quartiere, apparteneva al Granduca ma gli ebrei affittuari potevano trasmettere a figli e nipoti il diritto di abitare nelle case. La situazione divenne più difficile con la salita al trono granducale di Cosimo III nel 1670, uno dei regnanti più bigotti dell’Europa di allora. Mal tollerando questa situazione decise nel 1704 di ampliare il ghetto per costringere coloro che abitavano al di fuori (ben 108 famiglie) a rientrare, non potendo essi più accampare la scusa che non c’era sufficiente spazio. Il Ghetto Nuovo comprendeva l’isolato adiacente confinante con via de’ Pecori che aveva una nuova uscita su Piazza dell’Olio. La morte di Cosimo III e la resistenza da parte degli ebrei a rientrare nei confini imposti non cambiò sostanzialmente le cose, fino a quando l’estinzione della famiglia Medici, nel 1737, portò al potere i Lorena.

I Lorena

I Lorena, Firenze capitale, la distruzione del ghetto

Questi, applicando le idee progressiste propugnate dall’Illuminismo, furono assai ben disposti verso gli ebrei tanto da concedere fin dall’inizio qualche libertà: già nel 1750 permisero l’acquisto degli edifici in cui erano situate le due sinagoghe, dal 1755 le porte del Ghetto non vennero più chiuse al tramonto dalle autorità fiorentine e nel 1779 furono messe in vendita tutte le case e tutti i negozi acquistati da un gruppo di banchieri ebrei. Tutti di divieti caddero definitivamente con l’arrivo in Italia e anche in Toscana delle truppe napoleoniche le quali portavano la libertà, l’uguaglianza e la fraternità propugnate dalla Rivoluzione francese.
Dopo il 1815 con la Restaurazione e il ritorno dei Lorena, anche se sulla carta furono ripristinati gli antichi divieti, in realtà la strada verso una maggiore libertà rimase aperta, tanto che nel 1848 furono abbattuti i cancelli del Ghetto, sebbene molti ebrei, in particolare i più poveri, continuassero ad abitarvi. La proclamazione di Firenze Capitale del Regno d’Italia dal 1864 al 1872 aveva rese necessarie molte trasformazioni urbanistiche che adeguassero la città al nuovo ruolo, piano che fu elaborato dall’architetto Giuseppe Poggi.
Il progetto prevedeva anche la demolizione di gran parte del centro storico, inadatto per i suoi vicoli stretti e per le caratteristiche delle abitazioni ai nuovi criteri urbanistici. Il Ghetto fu evacuato nel 1885 e Piazza del Mercato Vecchio allargata alle attuali dimensioni di Piazza della Repubblica. Gli ebrei, liberi di abitare in ogni zona della città, avevano già allestito, in un palazzo di civile abitazione, situato in una strada adiacente all’antico ghetto, via delle Oche, due piccole oratori che cessarono di funzionare nel 1962.
Nel frattempo si cominciò a progettare una nuova sinagoga. Dopo aver scartato l’ipotesi di costruirla nel centro o addirittura dove sorgeva il ghetto, fu scelta una zona vicina alle mura, nel quartiere detto “della Mattonaia” e nel 1882 fu inaugurato il Tempio Maggiore di via Farini, ancora oggi cuore nevralgico della comunità ebraica fiorentina.

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