A scuola di perdono per sconfiggere l'odio
Perdonare chi ci ha fatto del male. Chi ci riesce, vive, chi
odia si macera e muore dentro. Come spiegava già la fulminante genialità di
William Shakespeare: "Serbare rancore equivale a prendere un veleno e
sperare che a morire sia l’altro"... Chi sa amare il nemico, insomma,
traccia il confine tra misericordia e vendetta, ma soprattutto scopre il
segreto per cui, nonostante l’ingiustizia subìta, la vita può ancora essere un
tesoro prezioso anziché un tormento. Un segreto che non è facile mettere in
pratica quando il dolore ci schiaccia, ma che si può apprendere da chi ci è
passato.
Il verso shakespeariano è dunque lo slogan della nuova
Università del Perdono, che apre i battenti dopodomani a Rimini presso la
"Casa Madre del Perdono", in seno all’associazione "Papa
Giovanni XXIII" fondata da don Oreste Benzi e oggi guidata da Paolo
Ramonda: un vero e proprio seminario articolato in una serie di incontri
mensili, durante i quali esperti e testimoni diretti spiegheranno come si può
arrivare a vincere la logica della morte spezzando il circolo vizioso della
vendetta e dell’odio. Di quanto oggi ce ne sia bisogno lo dimostra il fatto che
le iscrizioni sono state chiuse per "sovraffollamento", dopo che una
settantina di persone hanno aderito: «Si tratta di alcune famiglie ma
soprattutto di numerose coppie, il che ci ha abbastanza sorpresi – spiega
Giorgio Pieri, responsabile della Casa Madre del Perdono e della vicina Casa
Madre della Riconciliazione –. Inoltre si sono iscritte singole persone spinte
dalla necessità di riuscire a perdonare e riprendere così il normale corso
della vita, altrimenti impossibile. Oltre questo numero non potevamo andare,
anche perché si tratta, appunto, di una casa, che ospita quindici persone». Le
quali, come sempre avviene nelle realtà germogliate dalla santità di don Benzi,
sono loro stesse parte di un progetto di amore e misericordia che di retorico
non ha nulla: «Sono quindici detenuti comuni agli arresti domiciliari o in
affidamento, che da noi scontano la misura alternativa al carcere e hanno la
possibilità di rimediare concretamente al loro passato, usufruendo proprio
della logica del perdono. Sempre che abbiano voglia di farlo seriamente: il
buonismo non ci interessa».
Il primo incontro (dalle ore 9 fino al pomeriggio, in via
Chitarrara 675, a Taverna di Montecolombo, alle porte di Rimini) è affidato
alle voci del vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, ispiratore del progetto,
ad Andrea Canevaro, docente di Pedagogia speciale all’università di Bologna, e
a padre Gianfranco Testa, missionario e cofondatore del progetto
"Espere", che in Venzuela e in varie zone di conflitto lavora con le
vittime di guerra e ha una lunga esperienza in Scuole di perdono. «Tra le
testimonianze di chi l’amore per il nemico lo ha vissuto sulla propria pelle –
continua Pieri – avremo poi Giancarlo Randi, la cui moglie è stata assassinata,
e il racconto in video di Margherita Coletta, la giovane donna che ha perso il
marito Carabiniere nella strage di Nasiriyah».
Nelle tante case famiglia di don Benzi sparse per il mondo è
normale che l’umanità tutta si incontri in un unico progetto che guarda
all’Oltre e supera le barriere del preconcetto, lasciando a tutti quella
seconda possibilità che è il senso della speranza propria dei cristiani. «Così
anche ai nostri ospiti, che chiamiamo i "recuperandi", proponiamo un
percorso educativo molto complesso, affinché non tornino a delinquere. È
provato, infatti, che una giustizia repressiva causa una percentuale altissima
di recidive, mentre la giustizia riparatoria porta al recupero dei colpevoli».
Molti dei recuperandi sono stranieri, spesso di altre religioni, e nessuno
chiede loro di convertirsi al cristianesimo, ma «nel percorso che devono
accettare se vogliono entrare da noi, e del quale vengono avvisati quando
ancora sono in carcere, c’è anche la formazione religiosa: proponiamo loro quei
valori che, poiché hanno commesso gravi reati, non conoscono». In tutto ciò è
coinvolta la società civile, chiamata così a perdonare i reati che l’hanno
colpita e a rispondere con azioni di volontariato. «Lavorare insieme aiutandosi
era il motto di don Oreste – continua Pieri – e fa veri miracoli. I cuori
induriti spesso si sciolgono a contatto con le vite disabili, ad esempio». I
più indifesi, insomma, disarmano anche gli irrecuperabili: «Proprio
irrecuperabile sembrava Giuliano, un detenuto inviato da noi perché non si
sapeva più come prenderlo. A contatto con Damiano è stato una rivelazione».
Lucia Bellaspiga