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venerdì 4 marzo 2011

Giona ...


Generalità
Per la brevità del suo scritto, Giona è stato inserito tra i cosiddetti ''profeti minori''; ma, più che della effettiva messa per iscritto della predicazione di un profeta, come avviene per Isaia, Geremia e per tutti gli altri profeti minori, si tratta di una sorta di "racconto esemplare" come quelli di Tobia e Giuditta, catalogati invece tra i libri storici dell'Antico Testamento. Si pensa che sia stato scritto molto tempo dopo l'epoca a cui si riferisce, in ambiente postesilico.Esso è stato incluso in questo percorso proprio per la sua "parentela" con i libri di Giuditta e di Tobia.Secondo l'interpretazione più comune il nome Giona significa ''colomba''.



Contenuto
 


Nel capitolo 1 la Parola del Signore è rivolta a Giona, figlio di Amittai, e gli viene comandato di andare a predicare a Ninive, la Grande Città. Giona evidentemente non è un cuor di leone, perché invece fugge a Tarsis via nave. 



Ma la nave è investita da una tempesta e rischia di colare a picco dalla violenza dalle onde. Giona allora ritrova improvvisamente il proprio coraggio e svela ai compagni di viaggio che la colpa dell'ira divina è sua, poiché ha rifiutato di obbedire a JHWH e affinché la nave sia salva, egli deve essere gettato in mare.



E così, ecco nel capitolo 2 l'episodio che ha ispirato generazioni di scrittori ed artisti. Giona è gettato in mare, ma un "grande pesce" (da nessuna parte è precisato che si tratti di una balena) lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un'intensa preghiera, che ricorda uno dei Salmi. Allora, dietro comando divino, il pesce vomita Giona sulla spiaggia.



Nel capitolo 3, Giona ottempera la sua missione e va a predicare ai niniviti. Questi, contro ogni aspettativa, gli credono, proclamano un digiuno, si vestono di sacco e Dio decide di risparmiare la città. Ma qui riemerge l'istinto ribelle di Giona: lui non è contento del perdono divino, voleva la punizione degli oppressori del suo popolo. Così, nel capitolo 4, si siede davanti alla città e chiede a Dio di farlo morire.


Nel capitolo 4 il Signore fa spuntare un ricino sopra la testa di Giona per apportargli ombra, ed egli se ne rallegra. Ma all'alba del giorno dopo un verme rode il ricino che muore, il sole e il vento caldo flagellano Giona, che invoca di nuovo la morte. Allora l'autore riporta le parole di Dio, divenute celeberrime:

«Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita; ed io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?»

Alcuni simboli

Tarsis
Tarsis appare nella Bibbia (Genesi 10,4) come il terzo figlio di Javan, a sua volta quartogenito di Jafet, figlio di Noè: è la cosiddetta ''Tavola delle Genti'', i cui protagonisti non sono nomi di persona ma indicazioni geografiche. Javan ricorda la Ionia, una delle regioni storiche della Grecia, ed i suoi figli, oltre a Tarsis, sono Elisa (ricorda Ellenia, cioè la Grecia stessa), gli abitanti di Cipro (''Chittim'') e quelli di Rodi (''Rodanim'').
Tarsis è stato identificato con la città di Tartesso, fiorente centro mercantile conquistato dai Cartaginesi nel 553 a.C., posto alla foce del Guadalquivir sulla costa atlantica della Spagna, e da alcuni identificato con la mitica Atlantide. Poiché si trovava al di fuori delle famose Colonne d'Ercole, è evidente che esso rappresentava la più occidentale tra tutte le città conosciute dagli Ebrei, e quindi il messaggio dell'autore biblico è evidente: Dio ordina a Giona di andare all'estremo oriente, a Ninive, ed invece lui fugge praticamente agli antipodi, cioè all'estremo occidente!

Il pesce 


Quando il libro di Giona parla di un grande pesce, più che ad una balena o a uno squalo bianco (come ipotizzato da alcuni), presumibilmente l'autore biblico pensa ad uno dei mostri primordiali citati nel libro di Giobbe, simboli del caos. Ad ogni modo, quest'immagine ha conosciuto una fortuna incredibile nella letteratura. Tra gli altri viene ripresa:
  • da Ludovico Ariosto nei suoi ''Cinque Canti'', aggiunti e poi espunti dall'Orlando furioso, dove a finire nel ventre di una balena è Astolfo;
  • dal Barone di Münchhausen di Rudolf Erich Raspe, che ne fa una delle sue vanterie più famose (a tirarlo fuori dal pesce sono alcuni pescatori);
  • e, naturalmente, da Carlo Collodi nel suo immortale Pinocchio, anch'egli emulo dell'antico Giona.
«Tre giorni di cammino» 
Quest'espressione indica le dimensioni di Ninive ed è una chiara iperbole. Infatti nel libro dell'Esodo il "cammino di tre giorni" è quello necessario per uscire dall'Egitto e compiere un pellegrinaggio nel deserto ed offrire sacrifici al Signore (Esodo 5,3). Dopo tre giorni di cammino, inoltre, dopo il passaggio del Mar Rosso il popolo eletto raggiunge Mara (Esodo 15,23), luogo dove si manifesta la Misericordia di Dio, a cui evidentemente vuole alludere l'autore del libro di Giona.

La destra e la sinistra  
L'espressione ''non saper distinguere la destra dalla sinistra'' si trova solo nel libro di Giona. È abbastanza evidente che esse intendono indicare il Bene e il Male, perché secondo Deuteronomio 1,39) sono i bambini a non saper distinguere l'uno dall'altro. I niniviti sono dunque considerati come dei bambini che non hanno ancora conosciuto la Parola di Dio.

Giona nel Nuovo Testamento 

Gesù scende negli inferi
La permanenza di Giona per tre giorni e tre notti nel ventre del pesce ha conosciuto un'importante letture cristologica nel Nuovo Testamento. Così recita infatti Matteo 12,40: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». Anzi, alla "generazione perversa" che domanda un segno, Gesù non promette altro che ''il segno di Giona''. I tre giorni trascorsi da Giona nel ventre del mostro richiamano la resurrezione di Gesù "il terzo giorno". Infatti, secondo il linguaggio biblico, "tre giorni" rappresenta lo spazio di tempo al di là del quale la morte è definitiva ed irreversibile. Ed anche la pronta conversione dei niniviti è contrapposta da Gesù all'incredulità dei suoi contemporanei.

Giona nella tradizione ebraica successiva 
In questo contesto non si può non citare il film «Giona che visse nella balena», film di Roberto Faenza, che racconta le disavventure di un bambino nell'orrore dei campi di sterminio nazisti, ai quali sopravvive ma in cui perde padre e madre. In questo contesto Giona si trasforma nell'incarnazione dell'intero popolo ebraico, costretto a restare "nel ventre della balena", cioè in un mondo ostile che cerca di opprimerlo o addirittura di distruggerlo, ma, con tenacia e forza d'animo, riuscirà ad essere "vomitato" dal mostro e a tornare alla vita.



Significato
Chiaro appare il messaggio del libro di Giona, al di là del linguaggio metaforico usato dall'autore. Esso intende sostenere con entusiasmo l'apertura universalistica che stava avvenendo in alcuni ambienti del giudaismo postesilico, soprattutto nell'ambito della diaspora ebraica nell'intero ecumene. Se, da un lato, non mancavano correnti inclini alla chiusura a riccio dell'Ebraismo contro ogni infiltrazione ideologica dall'esterno, ben testimoniate dai libri di Esdra e Neemia, d'altra parte si avvertiva da più parti l'esigenza di un impegno missionario verso i Gentili. Ninive era un chiaro simbolo di oppressione per Israele, avendo distrutto e deportato il Regno del Nord; eppure a Giona, che qui rappresenta il rifiuto di questa nuova politica, è chiesto di invitare alla conversione proprio quella città. Dopo che egli ha accettato a malincuore di farlo, il suo rifiuto della decisione divina di risparmiare la città spiega assai bene i motivi della fuga nella direzione opposta. Giona non si rassegna ad accettare un Dio misericordioso, preferendogli il Dio del giudizio inesorabile, soprattutto contro un impero tanto odioso come quello assiro. Al suo sfogo, che rasenta la bestemmia, Iddio risponde con la parabola del ricino, il cui significato è altrettanto chiaro. Noi tutti siamo pronti a preoccuparci per le piccole cose della vita; perché Dio non dovrebbe preoccuparsi altrettanto dell'intera umanità, anche quella peccatrice e pagana, affinché possa essere salvata essa pure?

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