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lunedì 28 marzo 2011

Il più santo degli italiani, il più italiano dei santi


“Eccellenza! Sappia che don Bosco è prete all’altare, prete in confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come è prete in Torino, così è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re e dei ministri!”. Con queste parole schiette e coraggiose, don Bosco intraprese la sua conversazione con Bettino Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, nel Dicembre 1866 [...]. In queste parole si riassume l’attitudine assunta da don Bosco, cittadino piemontese fedele alla monarchia sabauda, prete cattolico fedelissimo al Papa, durante lo svolgimento del Risorgimeno italiano [...]. 
Come suddito del suo Regno, don Bosco mostrò sempre attaccamento al Re e ne rispettò le decisioni, anche quando esse, ispirate al Liberalismo del secolo XIX, erano del tutto contrarie alle sue convinzioni. Tale rispetto istituzionale, radicato in quell’equilibrio più complessivo tra fede e ragione che caratterizza il Cattolicesimo di don Bosco e ispirato da quell’atteggiamento prudenzialmente pragmatico che lo rese stimato e apprezzato anche dagli avversari, non gli impedì di prendere posizioni molto coraggiose. Nel 1855, per esempio, il Parlamento piemontese discuteva la famosa “legge Rattazzi” che prevedeva la soppressione di molti Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni. Don Bosco ebbe dei misteriosi sogni in cui un valletto di casa reale, in uniforme rossa, annunciava “grandi funerali a corte”. Per mezzo di lettere affidate a personaggi altolocati egli fece pervenire un avvertimento al Re Vittorio Emanuele II: se egli avesse firmato quelle leggi inique, dei lutti avrebbero colpito la famiglia reale. Il Re ne fu turbato ed irritato. Ciò nonostante, le leggi passarono e furono promulgate con la sua approvazione. Nel giro di pochi mesi, cinque personaggi di casa Savoia morirono inopinatamente [...]. 
Don Bosco aveva una “teologia della storia” che oggi appare “politicamente scorretta”. Però è quella di un santo. E le sue profezie si avverarono. Non solo quella relativa ai “grandi funerali a corte” ma anche quella sul destino di Casa Savoia, la dinastia che, dopo essersi distinta nel corso della storia per devozione alla Sede di Pietro, nel secolo XIX avallò e promosse una legislazione anticattolica, filoprotestante e invase lo Stato Pontificio più volte fino alla conquista di Roma nel 1870. Alla quarta generazione, essa si sarebbe estinta. [...]
Secondo don Bosco, insomma, chi perseguita la Chiesa, prima o poi, subisce una punizione. Lo disse chiaro e tondo anche a Francesco II, l’eroico giovanissimo sovrano del Regno delle Due Sicilie che regnò per meno di due anni, poi, l’invasione garibaldino-sabauda e la corruzione dei suoi ministri e generali lo costrinse alla resa e all’esilio. [...]


Anche il Papa Pio IX confidava fortemente in quel prete piemontese, tenace e prudente, e nei doni che Dio gli aveva elargito. E a don Bosco il Papa si rivolse in un momento drammatico: il generale Cadorna aveva da poco occupato Roma, nel Settembre 1870. Che cosa fare? Molti insistevano perché il Papa, “prigioniero” a casa sua, abbandonasse la Città eterna, diventata insicura e pericolosa. Ma don Bosco, dopo aver lungamente pregato, fece sapere al Papa: “La sentinella, l’Angelo d’Israele si fermi al suo posto e stia a guardia della rocca di Dio e dell’arca santa”. Il Papa rimase a Roma. La sua autorità spirituale aumentò in tutto il mondo.
Che cosa pensasse don Bosco della sottrazione del potere temporale del Papa lo scrisse in uno di quei suoi libri che ebbero una grandissima diffusione, nati per essere letti dai giovani e dal popolo, La Storia d’Italia, un capolavoro, per contenuto e stile, secondo il letterato Nicolò Tommaseo. Egli scrive che il potere temporale era necessario per garantire la libertà e l’indipendenza della sua missione spirituale: “è di vera necessità che il Papa dimori in un paese libero e indipendente, onde possa liberamente giudicare le cose di religione”. [...]
Leggendo la Storia d’Italia di don Bosco si può conoscere il suo giudizio, estremamente negativo, per i moti d’indipendenza della prima metà del secolo XIX, promossi, a suo avviso, dalle società segrete e dai “filosofi” per perseguire due scopi del tutto inammissibili: il rovesciamento dei governi legittimi e l’anticlericalismo. Essi erano accompagnati, come si dilunga a mostrare nel racconto degli avvenimenti dell’effimera Repubblica romana del 1848-49, da azioni delittuose e violenza efferata. In altre parole, don Bosco appartiene a quella schiera di cattolici intransigenti che condanna senza assoluzioni il Liberalismo del suo tempo. Egli si distingue, però, per due caratteristiche. Anzitutto, è alieno da ogni intemperanza verbale. Nei suoi scritti che trattano degli avvenimenti legati al processo di unificazione dell’Italia, sono associate chiarezza di pensiero e moderazione nell’espressione. È la mitezza di un santo che, inoltre, consapevole dell’incontrastabilità degli avvenimenti, alla sterilità della protesta, preferisce la fecondità dell’azione. 
Anzitutto, un’azione distensiva e di ricerca di accordi parziali sulle gravi divergenze tra Santa Sede e Governo italiano. [...] Non solo: quando nel 1878 Pio IX morì, don Bosco fu mandato in esplorazione presso il ministro degli Interni, Francesco Crispi, per saggiare le intenzioni del governo sullo svolgimento del conclave. Ricevette assicurazioni che esso si sarebbe potuto tenere a Roma senza timori di disordini. [...] 


Don Bosco ebbe il dono di conquistarsi la simpatia di tutti. Nel 1876, alla vigilia delle elezioni che avrebbero portato al governo la Sinistra, ancor più aspra della Destra liberale nel promuovere una legislazione antireligiosa, don Bosco accolse nel Collegio di Lanzo Torinese ben tre futuri ministri di quel governo, Nicotera, Zanardelli e de Pretis, venuti ad inaugurare un tratto ferroviario e ricevuti dal municipio locale nell’unico ambiente adatto a tali manifestazioni, la scuola salesiana per l’appunto. Zanardelli, alla fine del ricevimento, era stato soggiogato dall’amabilità di don Bosco capace di dire la verità con dolcezza e senza offendere nessuno. Abbracciò un salesiano e gli disse: “Dica a don Bosco che non potrei essere soddisfatto più di quello che sono del ricevimento avuto nel collegio. Non lo dimenticherò mai. Io farò per il collegio tutto quello che potrò”. E non fu il solo: molti esponenti politici del Risorgimento italiano votavano leggi vessatorie contro la Chiesa, ma quando si trattava di don Bosco ne sostenevano l’operato, anche finanziariamente. 
Erano coscienti che don Bosco agiva per i poveri e faceva ciò che il Liberalismo non seppe e non volle fare: era un’ideologia astratta e, per usare una definizione di Donoso Cortés, robusto pensatore cattolico del secolo XIX, “parolaia”. Parlava di libertà ma si disinteressava della giustizia. Don Bosco, invece, appartiene a quella schiera di “santi sociali”, come sono stati definiti, che lo accomuna al Cottolengo, al Cafasso, al Murialdo, tutti vissuti in Piemonte nel secolo XIX, all’epoca di grandi e drammatiche trasformazioni sociali. [...] Don Bosco si prese cura dei minori, che erano facile preda di sfruttamento materiale e morale, e offrì una proposta educativa integrale, comprensiva anche dell’educazione al lavoro e alle abilità professionali. Con un approccio pragmatico, ma non per questo meno efficace. “Don Bosco - scrive Teresio Bosco - si gettò nella situazione nuova certamente portato dall’urgenza di ciò che vedeva e dalla sua grande disponibilità a lavorare per i ragazzi poveri. La strategia delsubito, dell’intervento immediato (perché i poveri non possono permettersi il lusso di aspettare le riforme e i piani organici), diventa il marchio di don Bosco e dei suoi primi salesiani. Catechismo, pane, istruzione professionale, mestiere protetto da un buon contratto, diventano il programma urgente che i figli di don Bosco realizzano per i giovani proletari”.
Questo approccio pragmatico di don Bosco non è sinonimo però di ingenuità o di faciloneria. In un’epoca di totale penuria di strumenti giuridici per la protezione dei diritti del lavoratore, soprattutto se minore, egli promosse la stesura di contratti di apprendistato, una novità assoluta per i tempi in cui lo Stato liberale, dopo aver abolito le antiche corporazioni medievali, aveva lasciato i lavoratori del tutto indifesi. [...]
Don Bosco, che è stato definito “il più santo degli italiani, il più italiano dei santi”, è stato un prete, fiero della sua identità religiosa e della sua devozione al Papa, che, ispirato dalla verità, con schiettezza mai disgiunta da amabilità, ha saputo denunciare i soprusi del Risorgimento e, animato dalla più squisita carità evangelica, ha supplito con creatività ed intraprendenza ai guasti dell’Italia che si unificava sotto la regia di una dottrina, quella liberale, incurante della giustizia sociale.



di Roberto Spataro

Studium Theologicum Salesianum – Gerusalemme 
Tratto da: Dimensioni Nuove Online Don Bosco è prete all'altare, Febbraio 2011

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