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domenica 13 marzo 2011

Shahbaz Bhatti - Testimoni dell'oggi

Il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, ministro del governo pachistano per la tutela delle minoranze ucciso il 2 marzo scorso per la sua battaglia in difesa dei Cristiani del suo paese, è una luce che illumina il cammino dei Cristiani di tutto il mondo e svela qual è il vero nodo cruciale per ogni comunità e per tutta la Chiesa: la fede. La sua morte è stata il vero martirio.


Il suo impegno era volto al superamento della legge sulla blasfemia, pretesto utilizzato troppo spesso per condannare e giustiziare i cristiani. Il testamento di Bhatti, pubblicato il 3 marzo dal “Corriere della Sera” e ripreso da centinaia di giornali e siti in tutto il mondo rende conto di un uomo con una fede grande e commovente, che da essa traeva l’unica ragione del suo impegno. Sono frasi che spazzano via tanti equivoci e tante discussioni che stiamo facendo anche tra noi, all’interno della Chiesa. Il centro di tutto, infatti, non è aiutare i poveri, in base a una generosità e uno slancio ideale che durano quanto le nostre forze, cioè pochissimo. Il centro di tutto è il Signore, l’amore per Lui e soprattutto, come dice Shahbaz Bhatti, l’accorgersi di essere investiti dal Suo amore, la coscienza della Sua presenza viva e operante qui e adesso, di cui un’umanità nuova, inaudita, splendida, come quella di questo ennesimo martire cristiano, è testimonianza sfolgorante. Di tutto il resto si può e si deve parlare: del potere, della politica, della morale, della ricchezza e di quanto questo c’entri con la Chiesa, senza però dimenticare mai che il cuore della Chiesa, la sua definizione, il suo senso e il motivo per cui Dio stesso l’ha fondata consiste nell’essere testimonianza di fede, l’alveo in cui personalità del genere vengono educate alla presenza di Dio stesso. Presenza che nel mondo continua a esistere e a risplendere, pur nel dramma della persecuzione e della povertà. Ciò che fonda la nostra persona è l’essere all’altezza di quel Volto amabile e attuale, in modo da poterci sempre presentare a Lui “senza vergogna” e secondo la nostra dignità infinita.


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“Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù.
Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero.Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.


Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. lo dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d'amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni.
Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.
Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come essere umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna”. 

 (dal Corriere della Sera. 03-03-2011)

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